La sostenibilità delle carni bovine in Italia

Oggi, in Italia, l’allevamento bovino fornisce sostentamento a circa 80mila famiglie. Secondo una ricerca Ismea ci sono circa 145mila allevamenti sparsi per tutto il territorio nazionale. A livello economico, il settore della carne (manzo, suino e pollo) genera circa 30 miliardi ed è ritenuto fondamentale per dare supporto alle economie locali e rurali.

In realtà, no. Secondo uno studio del 2019, l’Italia è quart’ultima in Europa per consumo di carne: ogni italiano consuma 76 chilogrammi di carne all’anno, contro gli 83 dei tedeschi, gli 84 dei francesi e i 132 chili dei danesi. Inoltre, la carne bovina – la più impattante sull’ambiente – è la terza per consumo, con un consumo di 17 chili annuali a persona.

In Italia vengono effettuati più controlli sulla carne che in tutta l’Unione Europea. Grazie alla capillare presenza del servizio veterinario pubblico, dipendente dal Ministero della Salute, che sorveglia tutti gli anelli della filiera, il sistema di sicurezza alimentare sulle carni italiane è, storicamente, tra i più rigidi del continente.

No, l’uso di ormoni nell’allevamento di carne è vietato in Italia da oltre quarant’anni (mentre negli Stati Uniti è consentito). Gli antibiotici sono utilizzati, ma il loro uso è enormemente diminuito a seguito della normativa europea. Secondo un rapporto congiunto di Efsa, Ema e Ecdc, l’uso dei particolari antibiotici chiamati polimixine si è quasi dimezzato dal 2016 al 2018.

Un consumo moderato di carne – benché non obbligatorio – resta un fondamento della dieta alimentare. L’ideale sarebbe 2-3 volte a settimana, alternando carni rosse e bianche. In particolare, è un alimento imprescindibile per gli adolescenti, gli sportivi e le persone anemiche.

“L’importante è mantenere un consumo variegato. “In generale – spiega la biologa e nutrizionista Elisabetta Bernardi – come per tutte le cose, è bene variare tra carne rossa, bianca e salumi. Una cosa importante sono i metodi di cottura, perché si è visto che la cottura a fiamma viva, nel barbecue, è da evitare perché si generano dei composti che sono potenzialmente molto nocivi.

La filiera bovina è considerata un valido esempio di economia circolare compiuta, perché è il settore agro-alimentare che presenta i minori sprechi sociali sia in termini di produzione che di consumo. Non si butta via niente degli animali e gli impieghi vanno fino ai settori farmaceutici, cosmetici ed energetici.

Soprattutto alla fine della filiera: il settore domestico è la fonte più notevole di spreco, anche se in via di riduzione. C’è bisogno di più consapevolezza etica ed economica: l’ideale sarebbe congelare la carne prossima alla scadenza, oppure fare la spesa più frequentemente, andando così a ridurre le scorte di alimenti nella dispensa.

A livello mondiale le produzioni di alimenti di origine animale (carne, uova, latte, formaggi) generano circa il 14 per cento delle emissioni di gas serra. Le differenze tra i Paesi, tuttavia, sono piuttosto marcate, visto che in Europa gli impatti assommano al 7,2% e in Italia ancora meno, ossia il 5,6%, di cui il 3,7% attribuibile alla filiera bovina.

Seguendo i dettami della dieta mediterranea, che riesce a bilanciare i cibi prevedendo una quota pro capite di carne inferiore rispetto alla media occidentale. Se si rapporta l’impatto ambientale della carne bovina alla sua frequenza di consumo consigliata, si può notare infatti che il suo impatto settimanale medio è allineato con quello di altri cibi dall’impatto unitario inferiore ma dalle maggiori quantità consumate.