Lucio Dalla, 80 anni di leggenda

IL RICORDO E LE PAROLE DEGLI ARTISTI

Lucio Dalla, 80 anni di leggenda

IL RICORDO E LE PAROLE DEGLI ARTISTI


Ron: “Lucio, uno di famiglia. E io lo omaggio così”

di Andrea Spinelli

Un padre putativo, anzi un fratello maggiore. «Già perché, in fondo, fra noi c’erano solo dieci anni di differenza» racconta Ron, parlando del suo lungo rapporto con Dalla. «Paterna è stata la presenza di Lucio in alcuni periodi complicati della mia carriera, come ad esempio gli anni di piombo, quando smisi addirittura di cantare limitandomi a suonare nei dischi suoi, di De Gregori e di altri. Un periodo buio non solo per me, come ricorda la scelta fatta da Morandi di allontanarsi dalle scene per mettersi a studiare il contrabbasso. Lucio riuscì a scrollarmi di dosso un po’ di negatività e da quel momento per me è iniziata un’altra storia».

Ron e Lucio Dalla posing together. Milano, Aprile 1971

Lei ha avuto una carriera importante, ma la forza attrattiva di Dalla rimane molto forte. La cosa finisce col pesarle un po’? 

«Beh, pesa quando il legame diventa costrittivo alimentando il famoso “…e quindi tu non puoi mancare”. Perché a me piace ricordare Lucio, ma preferisco farlo quando voglio io». 

Nello spettacolo con cui approda il 9 marzo al Teatro delle Celebrazioni accade? 

«Sì, perché penso sia giusto farlo. A prescindere dal rapporto d’amicizia che avevo con Dalla. Qui in Italia, infatti, non siamo molto bravi a ricordarci chi ci ha dato tanto. Dimentichiamo in fretta. E invece Lucio, come De André, Battisti ed altri che non ci sono più, hanno diritto ad un posto nella memoria. Così durante il concerto recupero “Almeno pensami”, l’inedito che ho presentato a Sanremo cinque anni fa, ma anche “Futura”, “Attenti al lupo” e “Piazza Grande”». 

Qual è il primo aneddoto sulla vostra amicizia che le torna alla mente? 

«Un episodio dei primi anni Settanta che mi fece ridere e paura allo stesso tempo, ma focalizza abbastanza bene il carattere di Lucio. Ci fermiamo in un’area di servizio della A1 tra Firenze e Roma per prendere un caffè quando nell’Autogrill irrompe una comitiva di signore, appena scese dal bus, che lo riconosce e marcia spedito verso il nostro tavolo. Saranno state una ventina e forse più. Impensierito, dico: “Lucio che facciamo?”. E lui, calmo: “non ti preoccupare, ci penso io“. Il vociare cresce finché, ad un certo punto, Dalla si alza in piedi e grida “bastaaa!” facendo calare tra i tavoli un silenzio di tomba. Nell’imbarazzo generale mi rivolgo alle poverette ammutolite dicendo: “scusatelo, non sta bene”. Al che lui tira fuori uno sguardo da attore melodrammatico consumato dicendo: “sì, scusate, ma oggi è morta mia madre”. Fine dell’assedio, tra mille scuse». 

Ovviamente mamma Jole stava bene. 

«Ovviamente. E quell’uscita del figlio probabilmente le allungò la vita». 

Pensa che quel mondo della canzone frequentato assieme a Dalla, a De Gregori e a tanti altri trovi ancora posto sul palco di Sanremo? 

«No. Oggi il Festival è altra cosa rispetto a quello di un tempo, perché pure il mondo della canzone è altra cosa. A mio avviso è ormai qualche anno che su quel palco si fa fatica a trovare buone canzoni. Non è colpa del Festival ma del fatto che noi autori ci siamo un pochino spenti. Forse non ci sono più le cose da dire di venticinque-trent’anni fa e manca la passione». 

Perché?

«Perché la canzone è diventata un sottofondo nella vita delle persone, perdendo diverse delle sue prerogative. Ricordo, ad esempio, che negli anni Ottanta le canzoni al Festival erano circondate da un’attenzione assoluta, mentre oggi meno. Ci sono radio che prediligono le parole alla musica. Niente di male, ma penso che le canzoni vadano rispettate, se no è meglio fare trasmissioni solo parlate».


Gianmaria: “Da mio padre a X Factor, ecco chi è Dalla per me”

di Andrea Spinelli

Dalliani si diventa. E Gianmaria Volpato, per le hit-parade semplicemente Gianmaria (anzi gIANMARIA come preferisce raccontarsi graficamente), ne è un esempio. Classe 2002, quando Lucio se n’è andato la rivelazione vicentina aveva solo nove anni. «Era uno dei cantautori preferiti di mio padre e la passione nasce dalla musica respirata in casa» spiega l’interprete sanremese di “Mostro”, scoperto però dal grande pubblico già nel 2021 grazie al secondo posto conquistato ad X Factor sotto la guida di Emma Marrone.

«Dalla non è stato fra i primi ad appassionarmi, perché dietro le sue canzoni c’era una gran testa e a me all’inizio piacevano cose più semplici, più dirette, come quelle espresse da Rino Gaetano o Vasco Rossi. Lui richiedeva un ragionamento in più, ma una volta “agganciato” l’ho sempre tenuto vicino. Nei suoi dischi, infatti, scopro di continuo cose nuove».

Foto di Daniele Venturelli/Daniele Venturelli/Getty Images

Qual è stato il primo pezzo di Dalla a colpirla?

«Direi “Attenti al lupo“, che è anche uno dei più facili del suo repertorio».

Perché ad X Factor oltre a cover di Vasco, Cccp, De Gregori, Bersani, Battiato ha voluto eseguire pure «Stella di mare»?

«Perché un posto tra i mostri sacri della musica italiana a Dalla gli spetta di diritto. E poi perché nel mio percorso di crescita è stato importante, influenzandomi parecchio».

Ma cosa l’ha spinta a puntare proprio su «Stella di mare»?

«Era il pezzo che vedevo più a fuoco. M’ero avvicinato pure a “Caruso“, ma non riuscivo ad interpretarla al meglio delle mie possibilità».

L’ha eseguita riscrivendone una parte.

«Come ho fatto in tutte le cover proposte nel programma. Le ho affrontate, infatti, lasciandomi guidare dalle suggestioni per poi integrare il testo con alcune mie considerazioni. “Stella di mare” non ha il ritornello, così ho preso una parte del testo e l’ho ripetuta per crearne uno, poi ci ho scritto sopra quel che mi scatenava dentro».

«Stella di mare» l’ha rifatta pure Cremonini, duettandola virtualmente proprio con Lucio.

«Cremonini mi piace. E nel duetto trovo la sua voce molto in linea con quella di Dalla. Personalmente avrei puntato su un arrangiamento diverso, ma si tratta di gusti personali».

Qual è la canzone del repertorio dalliano che ha impiegato di più a fare sua?

«Un anno fa ho scoperto “Il giorno aveva cinque teste”, folgorante album del 1973 caratterizzato da pezzi bellissimi come “Un’auto targata TO” o “Pezzo zero”. L’ho assimilato tutto tranne “La canzone di Orlando”, che continuo a riascoltare ogni volta come fosse la prima. E confesso che è proprio questa sfida a divertirmi».


Andrea Faccani (Fondazione Dalla): “Era attratto dall’innovazione”

di Marco Santangelo

Oggi Lucio avrebbe compiuto 80 anni e Andrea Faccani, presidente della Fondazione Dalla, ricorda il legame indissolubile tra Lucio e la sua città: «Lui amava Bologna, per lui questa città era come una mamma o una moglie. Ogni volta che era lontano da qui poi veniva improvvisamente colpito da un forte senso di nostalgia al quale non poteva resistere… Doveva tornare a casa, in un modo o nell’altro».

Faccani parla di Lucio con un sorriso sincero, nei suoi occhi quasi prendono forma i ricordi di tutti i momenti passati con Dalla: «Ricordo che nel periodo natalizio o a Pasqua Lucio non poteva stare lontano da Bologna. Amava tutto di questa città, tifava la squadra di calcio, sosteneva la Virtus e persino le squadre di baseball. C’è stato un periodo che andava in giro con il guantone, addirittura fece anche un concerto con quel guantone da baseball sempre nella mano sinistra». 

Tra le virtù di Dalla che a Faccani sono rimaste (e rimarranno per sempre) impresse ci sono senza dubbio l’altruismo, la generosità e l’implacabile filantropia che hanno sempre contraddistinto l’artista di via d’Azeglio. E tutto accompagnato da un infallibile fiuto per i talenti, soprattutto per quelli giovani. «Era sempre alla ricerca dei giovani – spiega Faccani -, pronto a lanciare le loro carriere indipendentemente dal tipo di arte in questione: ha avviato pittori, musicisti, registi… Era attratto dal talento giovanile, diceva sempre che il loro sono il futuro, la modernità, l’innovazione. E infatti rivolgendosi a se stesso o a chiunque avesse la nostra ci etichettava e si etichettava come “gente passata“, mentre tutto ciò che riguardava la gioventù apparteneva a un mondo nuovo visto con occhi diversi e più aperti di quelli della nostra generazione».


Lucio attore: quella grande passione per il cinema

di Amalia Apicella

«Dio, ti ringrazio, c’è ancora! Ma scusa, non hai sentito? Hanno detto “Ciao Lucio“. E poi quella è la sua roulette, io la riconosco, ci sono già stata. Dai, andiamo!». Lo dice Eleonora Giorgi a Carlo Verdone in «Borotalco». Era il 1982 e tutto il film (con la colonna sonora di Dalla, degli Stadio e Fabio Liberatori) si basava sulla passione della protagonista Eleonora Giorgi per il cantautore bolognese. Una carriera, quella di Lucio Dalla, passata anche per una lunga serie di film. 

Quasi contemporaneamente all’uscita del primo album («1999», pubblicato nel ’66), i fratelli Taviani lo dirigono ne «I sovversivi». Pellicola con cui si aggiudica una candidatura come migliore attore alla Mostra di Venezia. Poi, naturalmente, viene arruolato tra i compositori di musica da film, a partire dal ’77 con «Signore e signori, buonanotte» di Luigi Comencini, Nanni Loy, Luigi Magni, Mario Monicelli e Ettore Scola. Il regista di «Amici Miei» lo vuole di nuovo per «I Picari» (’87), Michele Placido per «Pummarò» (’90) e Michelangelo Antonioni per «Al di là delle nuvole» (’95). Diventa uno strumento fondamentale del tappeto musicale del cinema italiano. 

Lucio Dalla sul set del film “Il santo patrono” (titolo provvisorio “Fonteparadiso”). Colle di Tora (RI), 1971

Dalla è stato anche l’autore della sigla del programma Rai «Lunedì cinema». Ma non sono mancate le partecipazioni nelle vesti di attore. Inizialmente doppiato da Pino Colizzi, ne «I sovversivi» e da Gianni Bonagura in «Little Rita nel Far West» di Ferdinando Baldi. Complice l’aspetto singolare del cantante, torna attore in «Amarsi male» di Fernando Di Leo (1969), «Il santo patrono» di Bitto Albertini (1972), «La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone» di Pupi Avati (1975) e «Quijote» di Mimmo Paladino (2006). 

Avati ricorderà il primo incontro con Lucio: «Il mio sogno era diventare un grande clarinettista jazz. Ma un giorno nella nostra orchestra arrivò Lucio Dalla. All’inizio non mi preoccupai più di tanto, perché mi pareva un musicista modestissimo. E invece poi ha manifestato una duttilità, una predisposizione, una genialità del tutto impreviste: mi ha tacitato, zittito, messo all’angolo. Io a un certo punto ho anche pensato di ucciderlo, buttandolo giù dalla Sagrada Familia di Barcellona, perché si era messo in mezzo tra me e il mio sogno».


Lucio Dalla: una discografia da sogno

di Amalia Apicella

Quando inizia a incidere, negli anni Sessanta, Lucio Dalla è un vulcano. Il genio sta per esplodere. «1999», il primo album viene pubblicato nel 1966, ma non vende. Tanto che la Rca non lo ristamperà fino all’89. Vicino al rhythm’n’blues, «1999» contiene due cover di James Brown, «I got you (I feel good)» e «It’s a man’s man’s man’s world». 

«Terra di Gaibola», «Storie di casa mia» e «Il giorno aveva cinque teste» sono dischi pubblicati tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Sono un trampolino di lancio. Ma è con «Anidride solforosa» del 1975 che Lucio porta all’interno dei suoi brani anche tematiche sociali, come la delinquenza minorile e lo sfruttamento borghese. I testi del poeta bolognese Roberto Roversi (con cui aveva iniziato a collaborare dal disco precedente) sono intensi ed esplodono in un brano, «La borsa valori», in cui il suo scat unico ed inimitabile inizia a farsi strada. 

In «Automobili» (1976), Dalla incide alcune canzoni dello spettacolo adattato al piccolo schermo per la Rai «Il futuro dell’automobile e altre storie». Ideato da Dalla e Roversi, lo spettacolo televisivo andò in onda nel 1977. Roversi è contrario all’incisione, avrebbe preferito un disco con lo spettacolo completo e decide non firmare le canzoni, depositandole alla Siae con lo pseudonimo «Norisso». Questa vicenda sancirà la fine del sodalizio

Nel ’77 Dalla si ritira alle Tremiti per dare vita ad un album tutto suo. Il risultato è «Com’è profondo il mare», con l’omonima canzone. Ma anche «Quale allegria», «Il cucciolo Alfredo» e «Disperato erotico stomp». Alle chitarre c’è Ron, che da qui in avanti comparirà nelle produzioni nelle vesti di arrangiatore.  «Com’è profondo il mare» diventa, insieme ai due successivi «Lucio Dalla» (1978) e «Dalla» (1980) il trittico della maturità del cantautore. Dalla è autore di testi e musiche. Qui vedono la luce successi come «Stella di mare», «L’ultima luna», «Anna e Marco», «Cosa sarà» e «L’anno che verrà». Per completare il trittico: «Balla balla ballerino», «Cara», «La sera dei miracoli», «Futura»… 

Un omaggio a Lucio Dalla. Nella foto il cantante in vacanza nelle Isole Tremiti – Giugno del 2003 (2012-03-01, Meridiana immagini / ipa-agency.net)

Tre anni più tardi l’album «1983» ha un buon successo commerciale, sull’onda dei precedenti. Tutte le canzoni sono scritte da Dalla, ad eccezione di «Noi come coi», musicata da Gaetano Curreri.  Il 1984 è l’anno di «Viaggi organizzati» con l’epocale «Tutta la vita». Primo album in cui si sente l’assenza degli Stadio. 

È un ritorno al jazz «Lucio Dalla Marco Di Marco» del 1985. Dalla canta e suona il clarinetto e Marco di Marco è al pianoforte. «Bugie», dello stesso anno, riprende una fuga jazzistica. Ritorna a lavorare con gli Stadio e contiene «Se io fossi un angelo», «Chissà se lo sai» (musica di Ron) e «Soli io e te». In questo periodo Dalla pubblica il pezzo «Lunedifilm», sigla del programma Rai, scritto con gli Stadio e inserito all’interno del loro album «Canzoni alla radio». Partiranno insieme per un tournée negli Stati Uniti. Dai concerti americani verrà estratto il doppio album dal vivo DallAmeriCaruso. Unico inedito dell’album è la struggente Caruso. 

«Dalla/Morandi/in Europa» arriva nel 1988. Quindici tracce: i successi dei due con inediti importanti scritti da Dalla, Mogol, Mario Lavezzi, Franco Battiato, Stadio e Ron. Con il disco «Cambio» (1990) si registra una svolta di arrangiamento e di uso dell’elettronica. «Attenti al lupo» e «Rondini» sono due delle canzoni presenti all’album. Cambio segna anche il ritorno di Roversi per un brano. «Henna» del 1993 annovera tutte canzoni scritte da Dalla tranne «Rispondimi» (testo di Vincenzo Incenzo e Laurex). Tra i brani che riscuotono più successo c’è la traccia omonima, «Don’t touch me» e «Mersman», che in modo profetico affronta il fenomeno della tv-spazzatura. 

Un omaggio a Lucio Dalla. Nella foto Lucio Dalla in concerto a Napoli con Gianni Morandi (30 settembre 1988)/ ipa-agency.net

In «Canzoni», album pubblicato nel 1996, Lucio Dalla riprende Disperato erotico stop del 1977 e inserisce come seconda traccia il canto liturgico «Vieni, spirito di Cristo» interpretato dal frate Alessandro Fanti. Il cantautore bolognese aveva sentito quel canto nella basilica di San Domenico a Bologna e, commosso, aveva chiesto di poterlo registrare.

Nell’estate del 1999, Lucio Dalla presenta l’album «Ciao». Anche qui, rispolvera dalla discografia «1999», la sua prima canzone, scritta nel 1966, con lo sguardo ironico che lo aveva sempre caratterizzato.  All’arcipelago delle isole Tremiti, Cala Matano, è ispirato il disco «Luna Matana» del 2001. La canzone «Agnese Dellecocomere» è dedicata allo storico locale di Bologna, in piazza Trento Trieste, nato negli anni Settanta e frequentato ancora da cantanti e attori.  Nel 2003 Dalla si interessa alla musica lirica. Compone la sua «Tosca – amore disperato», tratta dall’opera di Puccini. Dallo spettacolo estrapola il brano «Amore disperato», in cui duetta con Mina e che viene inserito nell’album «Lucio». 

«Il contrario di me» (2007) e «Angoli nel cielo» (2009) sono le ultime due fatiche. Sono commoventi, a riascoltarli oggi. Dell’ultimo album Dalla ha detto: «La gente ha bisogno di canzoni da cantare e da ascoltare e con questo disco, come ho fatto qualche altra volta, gliele ho date. L’autenticità della musica è un bisogno insopprimibile, è fondamentale prendersi la responsabilità di quello che si fa, significa comunque non sottrarsi al flusso di trasformazione del mondo. Ogni canzone che esce, se non ha alcun senso di mistero e inquietudine, è un delitto, come dare della candeggina nell’acqua da bere di un asilo. Diciamo che quello che faccio è cercare di dare il meglio, è l’unica cosa che si può fare».


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