Giornata mondiale
della Terra

Giornata mondiale della Terra

22 Aprile 2024


L’impegno dell’azienda per rendere le città sempre più vivibili. L’ad Iacono: “Pronti alle sfide della transizione green”

Sostenibilità ambientale e salvaguardia del Pianeta. Temi al centro della Giornata Mondiale della Terra,
che il Gruppo Hera, tra le principali multiutility nazionali, si impegna a ribadire ogni giorno, con
investimenti e progetti per la tutela dell’ambiente e delle risorse. «Come primo operatore nel settore
ambiente in Italia, il Gruppo Hera è oggi il motore dell’economia circolare con un ruolo importante nello
sviluppo economico del sistema territoriale di riferimento. Sono le multiutility come Hera, infatti, che
guidano il cambiamento delle città e le rendono più competitive, vivibili e resilienti alle sfide globali che
ci attendono da qui ai prossimi decenni, come il cambiamento climatico e la sicurezza energetica», ha
ricordato l’amministratore delegato, Orazio Iacono, durante la visita del ministro dell’Ambiente e della
Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, allo stabilimento piemontese della controllata Aliplast,
primario operatore nel segmento delle plastiche flessibili.

«Il riciclo di PET e LDPE aiuta a conservare risorse, riducendo la dipendenza da fonti di energia non
rinnovabile e promuovendo l’uso efficiente delle risorse esistenti – ha dichiarato il ministro –. Il settore
rappresenta un importante attore nell’economia circolare del Paese e svolge un ruolo fondamentale nella
transizione ecologica in cui siamo impegnati. Gli investimenti che Aliplast effettua saranno un concreto
contributo alla decarbonizzazione programmata nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima,
trasformandosi in un concreto risparmio per i conti dello Stato».

L’Italia, infatti, come ogni altro Stato membro, dal 2021 versa all’Ue una somma proporzionata alla
quantità prodotta di rifiuti di imballaggio in plastica non riciclati, che negli ultimi anni è stata di circa 800
milioni di euro l’anno. Anche per questo, è stato previsto un importante ampliamento che interesserà a
breve lo stabilimento piemontese di Aliplast: grazie un investimento di oltre 25 milioni di euro saranno
istallate nuove linee che, a regime, porteranno a un raddoppio della capacità produttiva dell’impianto.
Le 25 mila tonnellate di plastica che saranno rigenerate consentiranno allo Stato un versamento di circa 20 milioni di euro annui in meno.

Inoltre, poiché il nuovo Regolamento Ue Packaging & Packaging Waste Regulation (PPWR) in approvazione nelle prossime settimane, volto a ridurre l’uso degli imballaggi e a promuoverne ulteriormente la riciclabilità, favorirà la crescita della domanda di plastica riciclata, il Gruppo Hera ha già anticipato questa tendenza sviluppando nuovi impianti e potenziando quelli già esistenti. Ma la prossima attuazione del Regolamento rappresenta anche una sfida e un’occasione per aumentare le prestazioni del settore, a fronte di opportuni accorgimenti strategici che l’Italia deve adottare e sviluppare.

Tra questi, ad esempio, l’introduzione di incentivi nazionali alle aziende più virtuose nella rigenerazione
delle plastiche. Perché incrementare gli investimenti in questo comparto non solo rafforzerebbe le performance e la competitività del settore a livello globale, ma ridurrebbe anche il contributo che ogni
anno lo Stato versa al bilancio dell’Ue. Un percorso verso una transizione green che non giova, quindi,
solo all’ambiente, ma anche all’economia.


In base al rapporto ‘MobilitAria 2023’ Milano è la provincia più vicina agli standard e agli obiettivi fissati dall’Unione Europea

Con il suo mix sinergico di azioni e strategie nel segno dell’ecologia e della sostenibilità, il Green Deal europeo – varato nel dicembre 2020 – mira a rendere il vecchio continente climaticamente neutrale entro il 2050. Prima ancora, l’impegno di questo programma dell’Unione Europea è di abbassare le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030, in confronto ai livelli del 1990. La decarbonizzazione nelle aree urbane e la riduzione delle emissioni inquinanti, che ogni anno provocano decine di migliaia di morti premature, sono due ambiti strettamente correlati tra loro. 

Il rapporto ‘MobilitAria 2023’, a cura di Kyoto Club e dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-IIA), ha analizzato i dati della mobilità e della qualità dell’aria al 2022 in 14 città metropolitane italiane: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino, Venezia. Novità dell’edizione 2023 è stata, per ciascuna di esse, l’introduzione dell’indice sintetico del deficit di mobilità sostenibile. Questo numero rappresenta la media dei valori riscontrati su cinque parametri chiave: 

  • trasporto pubblico
  • mobilità attiva (andare a piedi o in bici) 
  • mobilità condivisa (con formule come car sharing, il bike sharing, lo scooter sharing e il car pooling)
  • tasso di motorizzazione 
  • ripartizione modale (suddivisione percentuale delle modalità di trasporto usate in una determinata area geografica). 

Dall’incrocio dei vari indicatori è emersa una valutazione complessiva della situazione attuale.  

L’analisi ha evidenziato un gap significativo tra l’attuale stato dell’arte e gli obiettivi futuri, mostrando che le città italiane sono ancora lontane in vista del raggiungimento degli standard europei entro il 2030 per quel che riguarda: 

  • il calo di gas ed emissioni inquinanti 
  • una migliore sicurezza stradale 
  • la promozione di pratiche di mobilità sostenibile. 

In base alla fotografia scattata da ‘MobilitAria 2023’, Milano è la città italiana che si avvicina di più ai target fissati per il 2030 con un indice sintetico di -32%. Buone performance si registrano per quanto riguarda mobilità condivisa, mezzi pubblici e ripartizione modale. 

All’ombra della Madonnina, invece, si sono ancora carenze, sempre rispetto alle direttive comunitarie, per quel che concerne la motorizzazione privata e la mobilità attiva. 

Nella prima metà della classifica si trovano Firenze, Torino, Venezia, Bologna, Roma e Napoli che hanno raggiunto buoni risultati nella ripartizione modale, ma hanno margini di miglioramento per trasporto pubblico, mobilità attiva e mobilità condivisa.

Nella parte bassa della graduatoria presa in considerazione, invece, ci sono Cagliari, Genova, Messina, Bari, Palermo e Reggio Calabria, fanalini di coda soprattutto per trasporto pubblico, mobilità condivisa e mobilità attiva, al netto, ovviamente, dei rispettivi e specifici punti di forza e di debolezza. Rispetto all’inquinamento atmosferico, Torino registra ben 98 sforamenti giornalieri di PM10 (il particolato, composto da microparticelle inquinanti presenti nell’aria e nocive per la salute) a fronte dei 35 massimi stabiliti per legge. Il capoluogo piemontese è seguito a ruota da Milano con 84, Venezia con 70, Cagliari con 70. 

Con un indice sintetico pari a -76%, Catania è la città italiana più lontana dagli obiettivi fissati in vista del 2030, ultima per mobilità condivisa e mobilità attiva, oltre che per trasporto pubblico e ripartizione modale.


Una vettura a zero emissioni fa bene all’ambiente e conviene ai proprietari, soprattutto nel lungo periodo

L’acquisto di un’auto elettrica può avere diversi benefici per sé stessi e per l’ambiente; tuttavia, occorre fare un’attenta valutazione e conoscere meglio alcune caratteristiche legate ai veicoli a zero emissioni.

Le auto elettriche sono adatte soprattutto a coloro che si mettono al volante in contesti metropolitani e urbani, dato che non emettono gas serra e non causano inquinamento acustico essendo silenziose. Per questo genere di mezzi privati, poi, così come per quelli ibridi, vanno considerate agevolazioni valide in determinati comuni come l’accesso alle ZTL, zone a traffico limitato, e la possibilità di sostare gratuitamente, dunque senza pagare per parcheggiare.  

Il costo iniziale legato all’acquisto di un’auto elettrica potrebbe essere più alto rispetto ai modelli tradizionali. Tuttavia esistono incentivi governativi – come si vedrà a breve – nonché detrazioni fiscali, pari all’80% della spesa, per installare colonnine di ricarica. 

È comunque opportuno tenere in conto l’autonomia del veicolo elettrico in base alle proprie esigenze di mobilità: alcuni modelli, infatti, presentano autonomie elevate, altri potrebbero prestarsi solo per brevi spostamenti.

Oltre a quanti guidano in città e in ambienti metropolitani, come anticipato, un’auto elettrica potrebbe convenire anche a chi prevede di tenere il veicolo per diversi anni e ha modo di ammortizzare nel tempo la spesa iniziale. Le auto a emissioni zero, inoltre, potrebbero essere interessanti anche per chi è dotato, in casa propria o in azienda, di un impianto fotovoltaico, dato che potrebbe usare l’energia prodotta dal sistema alimentato dalla luce solare per ricaricare la vettura, andando ad aumentare il risparmio effettivo per le proprie tasche su scala mensile e su base annua. 

Dopo alcuni mesi di attesa, il decreto sugli incentivi per le auto elettriche è ora al vaglio della Corte dei Conti. Una volta ottenuta l’approvazione da parte di quest’ultima, la campagna Ecobonus auto 2024 potrà partire. Se l’organo istituzionale non richiederà modifiche al testo, gli incentivi potrebbero essere disponibili nei primi giorni di maggio. 

Il ministero delle imprese e del Made in Italy ha già lanciato l’aggiornamento della piattaforma digitale per la prenotazione degli incentivi. Per ottenerli i requisiti fondamentali sono due. 

1) I soggetti che riceveranno l’Ecobonus devono essere gli stessi anche dell’intestatario del veicolo, cioè di fatto il proprietario. 

2) I soggetti in questione devono mantenere la proprietà del veicolo per almeno 12 mesi se si tratta di persone fisiche, per almeno due anni nel caso di persone giuridiche (impresa, società, ente pubblico, Terzo settore).

Per quanto riguarda gli incentivi, la bozza del decreto ministeriale prevede dei limiti di prezzo massimo del modello di veicolo acquistabile (IVA esclusa): 

35.000 euro per auto elettriche (0-20 g/km) e auto con motore a benzina, diesel, gas e ibrido (full e mild (61-135 g/km);

45.000 euro per le auto ibride plug-in (con doppia alimentazione, sia termica che elettrica, 21-60 g/km). 

  • L’Ecobonus auto 2024 indica contributi pari a 6.000 euro per la prima fascia, 4.000 euro nella seconda e nessun bonus nella terza, per cui gli incentivi saranno validi solo in caso di rottamazione. 
  • Con rottamazione di un veicolo Euro 0, 1 o 2 l’incentivo è di 11.000 euro, 8.000 euro e 3.000 euro a seconda delle fasce.  
  • Con rottamazione di un Euro 3, i bonus sono di 10.000 euro, 6.000 e 2.000 euro. 
  • Per i veicoli Euro 4 gli scaglioni corrispondenti sono pari a 9.000 euro, 5.550 euro e 1.500 euro.

Per i componenti di un nucleo familiare con un ISEE inferiore a 30.000 euro, inoltre, il governo ha stabilito incentivi fino a 13.750 euro se si rottama un veicolo Euro 2 e si compra un’auto elettrica.


In base alla nuova direttiva comunitaria i nuovi edifici dovranno essere a zero emissioni a partire dal 2030

Il 12 aprile 2024 è stata approvata definitivamente la direttiva sulle case green – ‘Energy performance of buildings directive’ – formulata dal Parlamento di Strasburgo e passata al vaglio dall’Ecofin (il Consiglio dei ministri dell’Economia dell’Unione Europea). Dopo che sarà pubblicata sulla ‘Gazzetta Ufficiale’ dell’UE ci saranno 24 mesi di tempo per recepirla. In questo periodo i 27 Paesi membri, inclusa l’Italia, dovranno presentare i loro piani di ristrutturazione del parco edilizio residenziale. A livello comunitario non sono state stanziate risorse ad hoc: gli Stati sono stati invitati a usare quelle già a propria disposizione.

Nella Penisola sono coinvolti oltre 5 milioni di immobili. Ecco cosa prevede la direttiva.

Gli edifici nuovi di privati dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2030. Per quelli di proprietà pubblica c’è meno tempo: la scadenza è fissata al 2028.  

Almeno 16% degli edifici pubblici con le peggiori prestazioni sul versante ambientale dovranno essere ristrutturati entro il 2030 e il 26% entro il 2033 (il paragone è fatto rispetto al 2020).

Le case dovranno ridurre i consumi energetici consumo energetico del 16% dal 2030 e almeno del 20% entro il 2035. Gli interventi che possono permettere di raggiungere tale obiettivo sono diversi, dai cappotti termici all’installazione di nuovi infissi fino all’adozione di sistemi fotovoltaici.  Si punta a immobili a emissioni zero entro il 2050.  

I nuovi edifici pubblici dovranno provvedere all’installazione progressiva di pannelli solari in un arco temporale compreso tra il 2026 e il 2030. Anche gli edifici residenziali dovranno via via dotarsi di impianti fotovoltaici e di loro componenti.

Si tratta di iniziative e adeguamenti importanti richiesti per andare a dismettere i sistemi di riscaldamento e raffreddamento alimentati da fonti fossili, per dare sempre più spazio alle risorse rinnovabili.

Come deve essere una casa per essere definita ecologica? Deve presentare alcuni elementi fondamentali, tra cui:

  • isolamento per ridurre il consumo energetico
  • sistemi di riscaldamento efficienti e a basso impatto ambientale
  • pannelli solari e impianti fotovoltaici
  • nuove caldaie, per esempio i modelli a condensa al posto di quelle classiche alimentate a gas (che, a partire dal 2030, non potranno più essere più installate)
  • utilizzo di infissi di alta qualità.
  • Installazione di pannelli solari e fotovoltaici
  • uso di materiali naturali come il legno e di altri facilmente smaltibili e riciclabili
  • appartenenza a classi energetiche di rango elevato (la classe A rappresenta il massimo grado di efficienza).

Gli edifici green sono dotati anche di apparecchi per il risparmio idrico, di impianti di filtrazione e sistemi di raccolta delle acque piovane.

È importante anche l’aspetto della localizzazione: le case eco-sostenibili, infatti, sono progettate tenendo in considerazione l’orientamento solare, la ventilazione naturale e altri particolari che sfruttano le condizioni climatiche locali.


La classificazione è stata introdotta nel 2021 per i Paesi dell’Unione Europea 

Quando si pensa di acquistare un nuovo elettrodomestico, è fondamentale considerare diversi aspetti. Tendenzialmente, per esempio, se si cerca una lavatrice si presta attenzione soprattutto alla capacità di carico e alla velocità della centrifuga. Per quanto riguarda l’acquisto di un frigorifero, invece, in prima battuta magari si guardano la capacità netta e il tipo di raffreddamento. Tuttavia, un elemento cruciale da tenere sempre in considerazione, per procedere all’acquisto di un nuovo apparecchio e per fare una previsione delle spese domestiche legate alle utenze, è la classe energetica dell’elettrodomestico. È una voce non da poco, che determina in gran parte il consumo del dispositivo e di conseguenza i costi sulla bolletta.

La classe energetica degli elettrodomestici altro non è se non una suddivisione semplificata dei valori dei consumi energetici stabilita dall’Unione Europea. Nel corso del 2021 sono state semplificate le etichette energetiche eliminando le classi A+++, A++ e A+: queste diciture sono state sostituite con una scala che va dalla A alla G, dove la A rappresenta l’efficienza più alta e la G la più bassa. Si è trattato di un adeguamento che è stato motivato dalla presenza crescente, sul mercato, di elettrodomestici sempre più efficienti ed ecologici e dalla necessità di rendere le etichette energetiche più comprensibili per i consumatori.

Uno dei divari principali tra una classe energetica superiore e una inferiore riguarda in particolare l’aumento dei consumi, con quello che ne consegue per le tasche delle famiglie. Ad esempio, un elettrodomestico di classe D consumerà più energia di uno di classe B o A con prestazioni simili. Facendo qualche esempio pratico, un frigorifero di classe G (ex classe A) con vano congelatore da 300 litri ha un consumo annuo massimo di 344 kWh, mentre uno di classe D (ex classe A+++) con le stesse caratteristiche consuma al massimo 138 kWh, meno della metà.

Se si considerano lavatrici da 6 chilogrammi che eseguono 220 lavaggi di vario tipo e intensità in un anno, un apparecchio di classe G (ex classe A) consumerà al massimo 227 kWh, mentre una di classe D (ex classe A+++) non dovrebbe arrivare ai 160 kWh. Per capire se vale la pena investire in un elettrodomestico di classe energetica superiore, bisogna valutare il risparmio economico nel tempo. Il calcolo consiste nel moltiplicare la differenza di kWh tra i due dispositivi per il costo dell’energia elettrica. Se il risparmio durante la vita dell’elettrodomestico giustifica il costo iniziale più elevato di un dispositivo più efficiente, allora l’investimento può essere conveniente.

In seguito alla nuova classificazione energetica degli elettrodomestici adottata a partire dal 2021, è stata ipotizzata anche un’eventuale, futura eliminazione dal mercato degli elettrodomestici con classi energetiche particolarmente basse, ovvero F e G. Si era parlato della possibilità di adottare questa misura già nel 2024 e quindi di togliere nell’anno corrente le due etichette indicate. Tuttavia, a oggi, non c’è ancora una conferma ufficiale in tal senso e le due classi si possono trovare ancora in commercio.

 

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